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pillole d'arte

A cosa serve l’arte?

Molte volte dietro i miei articoli ci sono le vostre idee. I feedback del pubblico sono preziosissimi, anche quando vogliono essere stroncature, contengono sempre una quantità di informazioni utilissime, su chi ce li invia, sull’obiettivo dietro l’invio del feedback, su quello che di noi è percepito, sulla nostra capacità di entrare in sintonia con il prossimo, sulla capacità di quel latore di feedback di entrare in sintonia con il prossimo, ma anche nel merito dell’argomento offrono scenari di riflessione utilissimi anche quando il feedback è una semplice comunicazione rabbiosa priva di scopo che non sia ferirci.

Giorni fa mi è stato dedicato un lungo scomposto commento scritto da una persona su un social, rivolto proprio a me, premetto che non era stato in alcun modo frutto di una mia provocazione, ero stata gentilissima e aperta al dialogo.
In coda al suo commento (in cauda venenum dicevano i latini) provava a ferirmi dicendomi:
“t’insegno qualcosa in merito. L’arte […] da ciò che scrivi dubito quindi che tu abbia una preparazione in tali settori. O, per lo.meno, ė molto limitata. La materia artistica. D’altra parte… basta vedere ‘cosa produci’ tu… di così tanto ‘utile’…”

Ringrazio questa inattesa recensione, e non sto scherzando, mi offre un’occasione per approcciare il tema dell’utilità dell’arte.

Prima di tutto vediamo di comprendere la sostanza critica applicando in modo scientifico il metro utilitaristico ad opere d’arte indiscutibilmente riconosciute come tali, dato che io ovviamente è appurato che non faccio arte utile, e lo dico senza ironia alcuna, so benissimo che la mia arte non ha alcuna utilità.

Il Flauto Magico di Mozart, chi non ha provato almeno una volta a canticchiare la parte della regina della notte? Quella la conoscono anche i sassi. Giuro non riesco a far rientrare quella sublime opera nella casella “utile”, si potrebbe indubbiamente dire che è bellissima e come tale riempie il cuore, riempie di emozioni, però un utilizzo pratico fatico a trovarlo, sebbene anni fa qualcuno sostenesse che le mucche producessero più latte se esposte all’ascolto della musica di Mozart, tuttavia dubito che Mozart l’abbia composta per i produttori di latte.

Passiamo alla scultura, la Pietà di Michelangelo, da lasciarci gli occhi, incredibile pensare che lui la scolpì poco più che ventenne, al di là della decoratività dell’oggetto scultoreo e al fatto che le chiese venivano tradizionalmente addobbate di ogni meraviglia artistica per offrire un appiglio alla fede, non riesco a trovare un utilizzo pratico, a parte la riproduzione piccola che mio figlio portò dalla gita delle medie che però è un eccellente fermacarte, non me ne voglia il Maestro Michelangelo.

Passiamo alla pittura, Prendiamo Klimt e il suo celebre “Bacio”, opera notissima, molto d’impatto, tra le opere più copiate e posterizzate, la troviamo un po’ ovunque, bar, negozi, case, la sua utilità decorativa è indiscutibile, ma l’utilità pratica? Quando Klimt dipinse quest’opera aveva un obiettivo pratico da risolvere attraverso quest’opera che non fosse solo dipingere (ed eventualmente venderla?)

L’arte è anche poesia, quindi prendiamo una bellissima poesia di Leopardi, l’Infinito, evocativa, non sembra mai invecchiare nonostante il linguaggio d’altri tempi… Utilità però?

Potrei scomodare anche la Divina Commedia e scoprire che neppure quella, al netto del cavarsi ben più di qualche sassolino dalla scarpa di Dante nei confronti di alcuni suoi contemporanei, non ha avuto uno scopo utilitaristico pratico.

Discorso diverso per l’architettura e il design, che sono una forma d’arte che può raggiungere livelli altissimi, ma che comunque deve soddisfare anche il criterio della funzionalità, dell’usabilità.

Dunque, appurato che non faccio architettura e design, la mia modesta arte è inutile, perché inutile lo è veramente, ma è in folta compagnia, mi precedono i grandi che hanno saputo fare del loro intelletto e del loro indiscutibile talento un uso straordinario (loro si), tanto più straordinario perché non era al servizio di bisogni basici (al di là dell’essere eventualmente pagati), non soddisfacevano alcun bisogno primario della società, quindi non c’era una motivazione pratica e utilitaristica, potevano ‘fare a meno’ di fare arte e nessuno sarebbe morto, ciononostante hanno impiegato anni di formazione, alcuni di loro hanno sofferto anche per poter continuare a fare ciò che facevano, e tutto questo per un qualcosa che va oltre la mera ‘sussistenza’, la ‘sopravvivenza’ la quotidianità, l’uso.

Forse però non ho spiegato bene cosa intendo per “utile”. A una persona che ama l’arte questa può apparire utile, ma uno a cui dell’arte non può importare di meno non sarà della stessa idea, quindi quel tipo di “risultato” è soggettivo, non oggettivo. Un idraulico ti è utile che ti piaccia o meno l’idraulica, concordi?
Se ti si allaga la casa e non chiami l’idraulico sono guai seri, se non compri un quadro, o non lo dipingi vivi lo stesso no?
In questo senso l’arte ha uno scopo altro, un po’ come lo ha la filosofia (altra disciplina che sovente viene additata come ‘inutile’), una persona può oggettivamente vivere anche senza studiare filosofia, può nascere, vivere, morire senza sentirne la necessità impellente, giusto?
Eppure la filosofia, come l’arte è una di quelle attività di pensiero che sono tipicamente, unicamente e specificamente umane, per cui scegli di dedicarti ad esse pur non avendone un bisogno primario.
Questo intendo, il valore dell’arte è un valore tanto più elevato quanto meno ne abbiamo bisogno eppure desideriamo averla nella nostra vita, esplorarla, approfondirla.

Questa trovo che sia la ragione più alta dell’arte, la ricerca, una ricerca che non ha applicazione immediata pratica, una ricerca che è un sondare i propri limiti, ed anche i limiti della capacità creativa umana in generale, una forma di amore per la conoscenza consapevole che non avrà un premio finale, ma che di sicuro tanto sudore e tenacia a sostenerla.

Forse la cosa più simile all’arte è il gioco nei bambini, un puro sperimentarsi che fa apprendere per esperienza nuove competenze ma in un modo totalmente libero da scopo.

Tra tutte le professioni però va detto che è la più amara dal punto di vista del riconoscimento sociale del suo valore, perché pur se la nostra vita non sarebbe la stessa senza tutte le opere d’arte che ci circondano nostro malgrado, gli artisti non vengono riconosciuti come membri ‘utili’ alla società, neppure i pochi che riescono a raggiungere livelli di notorietà e ricchezza ragguardevoli, se poi restano poveri non vengono riconosciuti come meritevoli di guadagno e supporto, anzi spesso vengono messi ai margini.

Però non si molla, l’arte continua a trovare appassionati praticanti, pure quelli che come me sono dei nessuno nel proprio piccolo la continuano a fare, perché l’amore per questa peculiare ricerca/gioco è già motivo a sé stante per continuare a farla, orgogliosamente inutili, orgogliosamente liberi da vincoli di utilità.

l’Arte se orgogliosamente “inutile” può essere libera, può esplorare luoghi modi e dimensioni che altrimenti non lo sarebbero. Per dirla con Oscar Wilde “tutti gli uomini vivono nel fango, ma alcuni tra essi guardano le stelle”

Ma il titolo è una domanda “a cosa serve l’arte?” Mi sento di rispondere che l’arte non ‘serve’, siamo noi artisti a servirla per sentirci vivi e a servirle per esistere.


p.s. nota del giorno successivo alla pubblicazione di quanto sopra, necessaria perché ho ricevuto una serie di perplessità circa l’idea di ‘inutilità’ dell’arte.
Chi va per musei e mostre può anche osservare che l’arte ‘serve’ a pensare, a sentire, a percepire sguardi diversi sul mondo, innegabile, questo è il vero valore, la vera utilità che nasce come coincidenza secondaria, non è un’utilità messa a monte nell’oggetto artistico, questa cosa è facilmente dimostrabile in quanto solo alcune persone vivono quest’esperienza di fronte all’arte, non tutte e solo alcune opere artistiche hanno il potere di elicitare queste risposte in un dato pubblico, non tutte.
Ora rovino tutto questo mio precedente atto d’amore verso la libera, meravigliosamente libera, indipendente inutilità (intesa come non asservimento a un mero interesse concreto) dell’arte con un esempio molto terra terra, ma credo che sia l’unico modo per rispondere alla critica secondo cui l’arte ‘serve’ in senso utilitaristico perché alcuni ne vivono l’esperienza trasformante:
l’idraulico serve ed è utile perché ripara i tubi anche se a te non interessa e non ti piace il suo lavoro, inoltre ti accorgi sempre che ripara i tubi quando lo ha fatto, non è che te ne accorgi a volte si e altre volte no, e chiunque si trovi un tubo riparato da un idraulico è in grado di accorgersi che il tubo è stato riparato, anche se a me l’idraulico non dovesse servire ma vedo che da te è passato e ha fatto il lavoro sono perfettamente in grado di cogliere la necessità utilitaristica del suo intervento, inoltre non serve uno stato d’animo specifico per poter apprezzare la riparazione del tubo, mi sono spiegata meglio?

L’intangibilità dell’utilità di base dell’arte la rende affine all’intangibilità dell’amore, tutti sappiamo cos’è l’amore, ma nessuno riesce a descriverlo in modo compiuto allo stesso modo di un altro e non si può vivere una vita di senso senza amore. Ma questa è un’utilità altra, più estesa, più ampia, che non è un semplice risultato a+b=c dell’oggetto artistico.

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