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pillole d'arte

Arte, riproduzione o fecondità?

Oggi mentre studiavo per l’esame di ermeneutica e ripassavo Gadamer ero sulla parte in cui nella prima parte del suo “Verità e metodo” ci dice che l’opera d’arte non è soltanto un godimento estetico è innanzitutto un incontro di verità. Non può essere ridotta meramente a un fatto estetico, così come non può essere fatta ricadere meramente all’interno di ciò che è misurabile come fatto scientifico anche l’arte ha una sua verità, per comprendere la quale occorre entrare in gioco.

Spero che qualche filosofo che mi legge non inorridisca se provo a spiegare un po’ più terra terra: nel momento in cui entriamo in relazione con un’opera d’arte entriamo in un gioco che ha una sua regola data, non creata da noi spettatori, così come se entriamo in un campo da tennis rispondiamo alla palla che ci è stata mandata dall’altra parte del campo, senza la quale non stiamo entrando in gioco. Dunque si stabilisce una relazione a partire da ciò che l’opera ci manda e alla quale noi rispondiamo con noi stessi, con ciò che noi siamo predisposti a comprendere e rilanciare a partire dai nostri orizzonti e visioni di comprensione preesistenti, ma in ogni caso si instaura il gioco che ci fa entrare in comunicazione con l’opera e che rende anche il nostro tempo fuso con il tempo in cui l’opera è nata, il nostro sistema di significati fuso con il sistema di significati che ha visto la nascita dell’opera.

A partire da qui mi è salito un pensiero, ovviamente io non sono una filosofa, lungi da me attribuire al mio pensiero un qualsivoglia valore universale, è il mio pensiero, lo condivido per ampliare il gioco, lancio la mia palla da tennis a te che leggi. Il pensiero che mi è sorto è che l’arte compie in questo senso, come già osservava Gadamer, un’operazione trasformativa sullo spettatore, ergo, mi dico io, sarà possibile un seguito generativo dell’opera che va a ricadere negli artisti contemporanei e successivi che sono entrati in contaminazione con l’opera, e fin qui non ho detto nulla di nuovo, chiaro che tutti noi che facciamo arte siamo parte di un tessuto radicato nell’arte che ci ha preceduto, ma il mio insight, se così lo posso definire, va in direzione del quid che fa di un’opera qualcosa di artisticamente rilevante, qualcosa che la fa assurgere a un livello più significativo e fondante, ed è quello di essere feconda, feconda di senso, feconda di trasformazioni, feconda di generatività che saranno fruttificate in ulteriori ricerche di altri artisti.

Sono sempre stata molto criticata per la mia inclusività in arte, non ho mai nascosto che per me è arte tutto ciò che è impegno di progetto e ingegno umano dedicato a una forma di applicazione di tipo artistico, anche il quadretto dipinto dalla nonna del nipotino appena nato, in cui avviene una selezione della foto giusta, degli strumenti adatti, e a partire da un movente interno sincero e vivo, poi si procede a realizzare un lavoro di tipo artistico.

Prima di saltare sulla sedia lasciami procedere, voglio usare questo spazio per spiegare che non per questo la ritengo arte in senso alto, esistono applicazioni artistiche di applicazione ed esistono operazioni artistiche di senso, capaci di un linguaggio che è comunicazione, che dice qualcosa che può non solo banalmente emozionare, non solo ispirare bellezza, non solo far dire wow, ma anche infilarsi di soppiatto nella cornice di significato che ognuno di noi si porta dietro, fondersi ad essa portando in noi spettatori un nuovo senso, un nuovo strumento di re-visione del mondo, un nuovo apparato di riflessione, cambiando più o meno sensibilmente l’ottica e la lingua con cui raccontiamo e diamo significato al mondo.

Ecco, questa è l’Arte che genera, che feconda, che non finisce con l’individuo che l’ha prodotta o con l’eventuale committente che l’ha voluta. Questa arte che genera è l’arte che non so trasformare come artista da intuizione e pensiero in oggetto concreto ma che con tutta me stessa vorrei saper essere prima che fare.

Tale fecondità è ciò che fa di un Guernica ciò che ancora continua ad essere fonte di stupore e di ritorno a volerne conoscere il segreto, ciò che fa delle opere di Rothko (come quella di copertina) qualcosa capace di stenderti quando ti ci trovi di fronte a dispetto della loro apparente semplicità che è essenzialità di fatto.

E’ il senso che va a intrecciarsi col codice espressivo, è il contenuto universale che è nel particolare, è qualcosa che non può essere costruito a tavolino, perché l’autenticità del momento comunicativo che sa dialogare con il futuro non può essere progettata, programmata, l’autenticità per sua natura non è una costruzione, la comunicazione, quella si può essere ‘costruita’ in modo efficace, certo, ma deve esserci a monte qualcosa di autentico, forte, vivo da dire, e dall’altra parte quel qualcosa di autentico forte e vivo deve trovare un tempo, un luogo e un osservatore predisposti per essere recepito.

L’arte può viaggiare nel futuro, se contiene semi fecondi, e se è Arte i semi continueranno a germinare nell’arte che verrà dopo.

Questo mi da senso del fatto che alcuni artisti sono e restano tuttora potenti e impattanti a dispetto di opere che sul piano tecnico potrebbero apparire ‘semplici’, mentre si vede un proliferare di arte tecnicistica muscolare, in cui lo sfoggio della competenza di riproduzione rende sterile il contenuto, perché dimentica l’autenticità che potrebbe essere veicolata, come fare del gran lettering senza scrivere una sola parola di senso, se mi si passa l’analogia.

Vedo nella contemporaneità molta arte che riproduce, ripiegata sulla forma, non molta che feconda. Quella fertile quando la vedo non posso non fermarmi a guardarla entrandoci in dialogo, facendomi catturare e trasformare da quel dialogo.

Negli anni ho visto (e ci sono caduta pure io) tanta attenzione al ‘trovare un proprio stile espressivo’ come se fosse quello che conta nell’agire artistico, la sua riconoscibilità stilistica, l’originalità della forma, abbiamo dimenticato che nell’arte la forma è al servizio di altro, e quell’altro (depositario del vero portato generativo) è finito per essere consegnato all’oblio, consegnando di conseguenza all’oblio gran parte dell’arte dei nostri tempi.

Vorrei essere ‘madre’ di arte feconda, ma sono ancora in cerca della chiave, il cammino procede.

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