Fontana e i tagli
pillole d'arte

I tagli di Fontana e le scorciatoie mentali

Oggi vedo l’ennesimo post sulla banalità dei tagli di Fontana, nei commenti c’è il prevedibile “io ne faccio ogni 30 secondi di quadri di Fontana“.
Come se l’opera artistica fosse un unicum, che nasce e muore in quella forma, decontestualizzata, privata del momento specifico in cui quella specifica persona ha deciso di compiere quel gesto (distruttivo e costruttivo) e rompere con il proprio passato artistico.

Il risultato di un processo creativo durato decenni, che ha portato a un gesto solo apparentemente ‘banale’, è proprio ciò che non lo rende banale. Il tizio, che ha commentato che fa un Fontana ogni 30 secondi, non ha nel gesto un contenuto di ricerca artistica decennale che renda il suo gesto un qualcosa che contiene un concetto maturato negli anni, né che lo renda originale.

Chiaro, il gesto in sé è facilmente imitabile, ma tutto quello che è stato prima, e dentro l’artista, tutta l’esperienza tecnica e teorica, ma anche umana, in quel tempo storico, in quel momento personale e culturale che ha condotto alla rottura attraverso quel gesto è il valore.
Anche la ripetizione del gesto assume valore, da parte dell’autore (non da parte di improvvisati), perché lui, e solo lui, è portatore di quella specifica esperienza.

Il collezionista che acquista un Fontana non è interessato a un qualunque ‘taglio in una tela’, ma è interessato a quel gesto che racchiude un percorso, che racchiude un pensiero, che racchiude l’essenza di quello specifico artista.

Chiaro che chi guarda il dito e non la luna non sarà mai in grado di percepire questa differenza.

Per fare un esempio altro: chi ha comprato la chitarra suonata da Jimi Hendrix per una cifra spropositata ha acquistato un oggetto, un banale oggetto, fatto in fabbrica peraltro, a rendere quel banale oggetto non banale è il fatto che su quell’oggetto sia stata suonata e composta musica immortale (pure quella ripetibile però, con un po’ di esercizio ognuno di noi può imparare a suonarla), è l’esperienza dell’artista che l’ha impugnata e suonata a rendere quella chitarra un’esperienza, un simbolo.

Tornando all’opera artistica: l’errore di molte persone è di credere che l’oggetto artistico abbia un valore intrinseco solo in quanto oggetto, mentre l’oggetto artistico ha un valore in quanto ‘contenitore’ simbolico di un momento dell’artista che l’ha creato. Compri un pezzo di vita di quell’artista, non un oggetto decorativo da mettere in casa, per quello ci sono le stampe Ikea.

Vedo contestato il fatto che l’arte, certa arte sia incomprensibile, e quindi se non è comprensibile per tutti che valore ha? Un libro di filosofia è comprensibile per tutti o solo per chi si è formato in filosofia? Il fatto che non lo sia per tutti toglie valore al contenuto di quel testo?

L’arte facile da capire è poco faticosa, rilassante e così spesso ti inganna facilmente, tanto facilmente che ti convinci che la pipa nel quadro di Magritte sia davvero una pipa; l’arte difficile da capire invece è faticosa, anche antipatica a volte, ma ti sta mostrando uno scomodo interrogativo che se lo lasci lavorare ti scava dentro.

Come ben osservava Kahneman il nostro ‘sistema 1‘, quello che ha bisogno di dare velocemente un senso di ordine al mondo, evita in modo assoluto lo sforzo cognitivo di comprendere qualcosa di non facilmente decifrabile. Siamo fatti per economizzare lo sforzo, dover pensare consuma energia, il cervello consuma glucosio a volontà quando è sottoposto a un compito complesso, la soluzione è trovare una una scorciatoia mentale, ovvero una risposta di comodo (spesso sbagliata, dimostra Kahneman).

Però l’arte non vuole essere necessariamente una fruizione passiva, se da una parte noi umani siamo quelli che sentono la necessità di risposte rapide, rassicuranti e facili, dall’altra siamo anche la specie, su questo pianeta, che ha inventato il piacere di risolvere inutili cose ingarbugliate, come i rebus, i quiz, ricomporre complessi puzzle, improvvisare in una jam session con degli sconosciuti complicatissima musica free jazz, cercare di capire cosa sta dietro un quadro astratto o concettuale.

Non siamo fatti tutti per belle figure rassicuranti e paesaggi bucolici, sono belli, non lo nego, ed è legittimo apprezzarli, ma esiste anche gente, come me, che ama fruire di un’arte che non ti vende risposte semplici.

Certo, coloro che faticano ad attivare il “sistema 2” (quello che non prende scorciatoie ma fa uno sforzo per analizzare con cura, dati e competenza ciò che ha davanti) troveranno una facile risposta (sbagliata) anche a quelle cose non facilmente decifrabili.
Lo vedo spesso, di fronte a un’opera che per chi guarda non è una risposta decorativa facile da capire, ripiegano su qualcosa di comodo come “se non la capisco non è arte che vale“… anche quella scorciatoia interpretativa può essere una facilitazione per favorire soluzioni pigre, così possono passare ad altro e non porsi domande sul perché qualcuno abbia deciso di fare quella scelta espressiva, dormono sereni concludendo che è un imbroglio senza senso, che sono sciocchi quelli che cercano contenuti in una cosa banale e risparmiano prezioso glucosio.

A me invece piace interrogarmi sugli “enigmi della sfinge”, e apprezzo l’arte che non risponde a ciò che mi aspetto, quella che mi fa chiedere “cosa c’è dentro la mente di chi l’ha fatta?
Non studierei psicologia se non avessi queste inclinazioni.

Testo consigliato “Pensieri lenti, pensieri veloci” di Daniel Kahneman, ma attenzione che leggerlo fa consumare glucosio” 😅

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